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GLI HIKIKOMORI 2 FEBBRAIO 06 – METRO

Sono gli hikikomori. Sono il nuovo fenomeno sociale scoppiato in Giappone ma non solo. Sono i giovani “rannicchiati su se stessi”. Sono ragazzi, per l’80% maschi, spesso sotto i 14 anni, che si chiudono nella loro stanza per anni senza uscire più. Si sfondano di playstation, di chat, di sms, di televisione. Mangiano il cibo che i familiari gli passano dalla porta e non comunicano più con il mondo se non per vie virtuali. Il fenomeno, che la psichiatria ha etichettato come ” ritiro dal sociale in forma acuta”, è talmente esteso e preoccupante che l’International Herald Tribune gli ha dedicato la prima pagina. “Playstation, tv, computer, diventano barriere tecnologiche che occupano tutta l’attenzione”, scrive Claudio Risè, “separandoli dal mondo vivente, quello dei corpi e degli odori, dei sapori e delle emozioni. Il mondo delle loro macchine parlanti, diventa così più familiare di quello degli esseri umani (non programmati), la cui imprevedibilità li spaventa”. Gli hikikomori sono tra noi e, spesso, non sappiamo riconoscerli. Questa responsabilità è dei genitori e di una società sempre più attenta a sterilizzare, pastorizzare, disinfettare e igienizzare al punto che anche le emozioni subiscono lo stesso trattamento così da ridurre il contatto umano ai minimi termini. Tutto deve essere consumato senza tregua, per cui non ci si può fermare a sentire, a vivere, a percepire, ad assaporare. I cibi così come l’amore devono essere consumati, che non è la stessa cosa di vissuti. E allora scoppia il fenomeno degli hikikomori che io leggo come una denuncia drammatica che quei ragazzi fanno verso chi gli ha tolto il sapore della vita e loro rispondono togliendo la vita ad ogni contatto il quale si esprime solo per vie fredde e impersonali come gli sms o le chat. Il mondo degli adulti dovrebbe assumersi la responsabilità dei “rannicchiati”, per prima cosa accorgendosi di loro e dei loro comportamenti anomali, chiedendo aiuto e facendoli curare, possibilmente evitando gli psicofarmaci perché non penso si tratti di malattia ma di disagio sociale. Però non sempre è così in quanto “fa comodo il figlio hikikomori”, sostiene la dottoressa Jacopa Stinc, “perché tace, non dà problemi né preoccupazioni”. Tempo fa una coppia mi portò in studio il figlio di 11 anni il quale non studiava più e iniziava la prima fase di “rannicchiamento”. I genitori sostenevano di dare tutte le premure al figlio, compreso cellulare, paghetta consistente etc. Quando chiesi al bambino cosa desiderava mi rispose arrabbiato: ” di essere visto”. E non è un caso che la maggioranza degli hikikomori sono maschi, poiché il genere maschile è quello che ha più risentito, nello sviluppo della personalità, dell’assenza del padre, altro fenomeno sociale della nostra epoca. Il padre relegato nel mondo del lavoro ed escluso dal passaggio di consegne e di identità nei confronti del figlio maschio. Non rimaniamo davanti alla porta di questi ragazzi, bussiamo. Non portiamogli solo cibo e computer, doniamogli la comprensione (da cum-prendere, prendere con sé). Sono ragazzi spaventati, bisogna sapersi avvicinare con cautela e sicurezza. Ma gli adulti hanno superato le loro paure? Marco Lombardozzi