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ANTIDEPRESSIVI – METRO

La depressione può essere curata con i farmaci? Per circa un decennio ci è stato detto di si, ma ora ci sono voci contrarie. Helen Mayberg, psichiatra dell’Università di Toronto, sostiene che “gli antidepressivi non curano la depressione”. ” I farmaci rappresentano solo una parte della cura”, scrivono P. Delgado e P. Zarkowski dell’Università di Cleveland, “poiché riducono soltanto i sintomi”. (Textbook of Biological Psychiatry). Cosa dire poi dell’obbligo imposto dall’FDA americano a partire dal 14 Settembre 2004, di scrivere sui foglietti illustrativi degli antidepressivi che nei ragazzi sotto i 18 anni questi farmaci possono aumentare il rischio di suicidio? Dalle ultime indagini ben 30.000 bambini sono in cura con psicofarmaci, l’Istituto Mario negri ha lanciato un allarme. Gli antidepressivi muovono un mercato annuo di circa 17 miliardi di dollari. Sicuramente alleviano i sintomi della depressione, ma questa malattia che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sarà, entro il 2020, la seconda causa di disabilità nel mondo, richiede forse di essere vista sotto altri profili. Per prima cosa bisogna pensare che la soppressione del sintomo non vuol dire guarire. Dethlefsen e Dahlke scrivono che lo stato di salute migliora quando il malato “non considera più il sintomo come un nemico né si pone lo scopo di combatterlo e distruggerlo; al contrario scopre nel sintomo un compagno che può aiutarlo a scoprire cosa gli manca e a superare la malattia vera e propria”. Il problema è che si è dimenticato il linguaggio dei sintomi perché sembra più facile prescrivere una pillola e così passa la paura. Ma la paura non passa, semplicemente si assopisce. Di cosa ha paura il depresso? Delle responsabilità. La paura di assumersi delle responsabilità porta il depresso a rinunciare alla vita quando si presenta sotto forma di cambiamenti e confronti che richiedono quasi sempre dei processi dolorosi. Questo adulto depresso, quando era bambino, non è stato valorizzato e stimato, non gli è stata data la consapevolezza di avere un valore e una capacità con le quali risolvere i suoi problemi, è stato costretto a convincersi che gli altri hanno i mezzi per risolverli e valgono più di lui. “Assumersi le responsabilità” scrivono gli autori di cui sopra, “significa accettare la propria solitudine. La persona depressa ha paura di questo e quindi ha bisogno di persone a cui aggrapparsi”. Prendere una decisione vuol dire prendersi una responsabilità, e ogni volta che si compie tale passo, si è soli. La solitudine è l’altro tema del depresso poiché è incapace di star bene con se stesso, è incapace di “nutrirsi” e di dialogare con il proprio sé interiore. Paradossalmente più cerca di evitare la solitudine più si isola perché il modo di alleviare questa paura lo porta a scelte superficiali dettate dall’immediatezza del bisogno e così, per fuggire dallo star solo si ritrova isolato e la depressione aumenta. La paura della solitudine è un male di quest’epoca. Emblematico il recente caso scoppiato in Giappone quando sono stati messi in vendita cuscini per donne sole, a forma di torace di uomo che abbraccia e che, previa attivazione, accarezza. In sostanza si attribuisce così alla donna l’assoluta incapacità di sapersi accarezzare da sola! Accettare che nella vita si devono prendere delle responsabilità, sapendo che ciò porterà momenti di solitudine che sapremo superare, è il presupposto per il cambiamento che aiuterà il depresso a guarire. Scrive Oriah Mountain Dreamer: “voglio sapere se sai stare solo con te stesso e se davvero ti piace la compagnia che ti fai nei momenti di vuoto”.