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ACCETTARE LA MALATTIAMETRO

L’umanità ha sempre sofferto per le malattie dell’epoca. I medici hanno cercato, con più o meno successo, di alleviare tali sofferenze. Ma spesso ciò non è possibile e non solo per l’inadeguatezza dei mezzi terapeutici. A volte è impossibile curare una malattia perché il malato non accetta di essere malato. Mi spiego meglio: per poter cambiare una situazione negativa e dannosa per noi, occorre prima di tutto prendere coscienza di tale realtà, accettarla come parte presente nella nostra vita e allora, solo allora, potremo cominciare a lavorare per cambiarla. Lo stesso percorso deve essere fatto nei confronti della malattia. Se il malato non accetta di avere una patologia, se resiste e combatte non contro di lei ma contro se stesso perché vuole negare a tutti i costi di essere malato, non potrà esservi guarigione. “A beautiful mind”, il recente film con Russel Crowe, è una mirabile rappresentazione di questa legge. Il matematico Nash, affetto da grave schizofrenia allucinatoria, pone le basi e i presupposti per la sua guarigione soltanto quando riconosce di essere malato, lo ammette, ne parla e decide di accettare anche le immagini allucinatorie come parte della sua vita. Soltanto allora può cominciare la sua rinascita, il percorso che lo porta a decidere di non ascoltare più le visioni paranoiche, di non parlare più con loro, di ignorarle. Ha preso coscienza della sua malattia, ne ha fatto esperienza e, come dice Hillmann, la usa per “fare anima”. Quando una mia paziente, in prossimità della sua morte, mi implorò: ”dottore, mi faccia morire in piedi”, capii che non aveva mai accettato la sua malattia poiché la considerava una debolezza che a lei non era permessa, così come non le era consentito di accettare l’idea della morte e di lasciarsi andare. E così morì, vittima della sua rigidità e della sua drammatica incapacità ad accettare se stessa: buona e cattiva, forte e debole, in piedi e sdraiata. Un altro mio paziente, invece, che veniva nel mio studio affermando di sentirsi bene e di condurre una vita sana, si incamminò verso la guarigione quando mi disse: “ dottore, le ho raccontato un sacco di bugie in questi mesi; l’altra notte mi sono svegliato e ho capito che sono profondamente malato e devo essere curato, non posso più mentire a me stesso!”. Era tossicodipendente. Guardare la realtà è il primo passo verso la guarigione, accettare la realtà è il primo passo verso la maturazione, decidere di cambiare la propria realtà è, quando possibile, il primo passo verso la trasformazione (concetto caro al Buddhismo). Lo so che non è facile, lo so che è un percorso doloroso. Per questo ci sono i medici i quali non possono più essere relegati al solo ruolo di prescrittori di farmaci. Come l’antico medico-sacerdote, essi dovrebbero dispensare, oltre alle medicine, l’aiuto necessario al malato per confrontarsi con la sua malattia e quindi con se stesso. “Il medico crede di conoscere l’uomo ma ignora l’individuo” scriveva Leon Vannier, un omeopata illustre. Negli ultimi anni vado sempre più convincendomi che l’essere umano pone nel sintomo quello che gli manca nella coscienza. Allora bisogna rendere cosciente ciò che non lo è, attraverso l’accettazione del sintomo e della malattia come una delle espressioni di sé. Per aiutare i malati a far questo occorre qualcosa che non si studia sui libri di Medicina e che il matematico Nash, nel succitato film, descrive molto bene:” io che ho studiato tutte le equazioni matematiche possibili, devo ringraziare l’unica equazione che mi ha salvato la vita ed è quella dell’amore”.