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NON ACCADE spesso di seguire un concerto di un cantante con il camice bianco. La musica e non solo la medicina è la passione di Marco Lombardozzi, medico e psicoterapeuta. Tanto che questo professionista delle terapie e del bel canto ha anche inciso un Cd. Si intitola “Dottore” e raccoglie canzoni che parlano del rapporto tra medico e paziente. I due brani principali, ‘Psico rap’ e ‘No dottore’, sono un vero e proprioj’accuse a una sanità che non rispetta l’individualità del paziente. Uno spunto per riflettere sul bisogno d’ascolto che hanno i malati. E sulle difficoltà dei dottori quando il male è incurabile.

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• LA MUSICA CHE PARLA DI MEDICI E PAZIENTI

“Nei brani – spiega Lombardozzi – ho voluto dar voce sia alla figura del medico che del paziente, cercando di far emergere il lato umano di entrambi: da un lato c’è il dottore che vorrebbe risolvere tutti i mali – clinici – del mondo ma spesso non può e dunque ne soffre, dall’altro il malato che durante la visita medica si sente un numero più che una persona. ‘Psico rap’ e ‘No dottore’ sono i due brani di denuncia verso la medicina che non rispetta l’individualità del paziente, in particolare il paziente psichiatrico, spesso giudicato soltanto dal medico”.

Per il lavoro discografico, appena presentato al teatro Arciliuto di Roma, a Lombardozzi si affiancano due session-men, Angelo Anastasio e Luca Sbardella, il primo alla chitarra e al cavaquinho, l’altro alla fisarmonica e sax soprano, il tutto combinato in una produzione musicale che va dal country rock al reggae, passando per musiche più melodiche e rap.

“In questo Cd ci sono due brani sull’omeopatia, e c’è poi un riferimento alla morte, descritta come processo evolutivo, senza pathos. Si tratta di una ballata nella quale cerco di dare una visione meno cruda della morte – aggiunge il medico-musicista -. In fondo si deve accettare, e il medico più di tutti, che la morte è parte integrante della vita”.

“Umano”, il singolo di Marco Lombardozzi sul ruolo del medico

• IL MEDICO CHE ASCOLTA
“Ho poi voluto parlare del ruolo del medico, così come dovrebbe essere, che non usa il dolore dei pazienti come profitto, ma li ascolta attivamente, con empatia e con il cuore. Ho voluto ricordare il nostro ‘dovere’ come medici, cioè quello di prendere sulle spalle il lutto dei familiari. Proprio per questo ho parlato del caso di un bambino malato di cancro, morto troppo presto, e del fatto che purtroppo noi medici vediamo di tutto, non solo anziani malati, anche giovani per i quali non abbiamo ancora una cura”.