DEPRESSIONE E CONSUMISMO – METRO
Ma è vero che ci sono tantissimi depressi? È quanto sembra emergere dagli ultimi dati (un italiano su cinque). Lo confermano anche i numeri sui farmaci: negli U.S.A. dal 1981 al 1993 il consumo di farmaci antidepressivi è quadruplicato! Anzitutto bisogna distinguere tra una depressione transitoria e la forma cronica recidivante, sto parlando della seconda. Questa tristezza malinconica è sempre esistita perché fa parte della condizione umana, ma non risulta che sia mai stato un fenomeno così dilagante, devastante e diffuso come ai giorni nostri nei paesi occidentali. E se fosse figlia legittima del consumismo sfrenato? Se si trattasse della conseguenza della globalizzazione? Pensiamoci: viviamo in una società che dice di dare all’essere umano il diritto della libertà, da un lato, ma poi dall’altro lato gli impone l’omologazione del pensiero e anche dei sentimenti attraverso il consumo di massa, come soluzione all’ansia dell’esistere. Strano meccanismo. Così lo schiavo consumatore vuole sempre di più, di più e ancora di più: più farmaci, più televisione, più divertimenti, più droga, per poter uscire dalla sua Notte Emozionale. È ovvio che questo meccanismo non gli darà il sollievo che cerca, se non in forma passeggera. Del resto una persona depressa è facilmente manovrabile, basta promettergli la strada per uscire dal tunnel esistenziale e la strada è: consumare e omologarsi, passivizzandolo il più possibile, più è passivo più sarà depresso, più sarà depresso più sarà manipolabile e consumerà quello che gli verrà proposto come soluzione alla sua eterna paura. Dall’ultimo congresso della Società Italiana di Psicopatologia risulta che sta emergendo tra gli adolescenti la sindrome dell’abbuffata: la tendenza ad abbuffarsi di cibo per dimenticare i problemi. Riflette esattamente ciò di cui sto parlando: “più consumo più allevio la sofferenza”. Ma in realtà non è così e quegli occhi spenti che mi guardano chiedendo aiuto tormentano i miei sonni. Il depresso non vede più il sole sia fuori che dentro di sé. Nel sud Italia quando una persona cadeva in depressione la collettività si riuniva e suonava la danza di guarigione, così sono nate la Tarantella e la Pizzica che sono tutt’altro che ballate superficiali e si perdono nella notte dei tempi. Ma oggi cosa si può fare? Non ho la soluzione da dare in poche righe ma penso che vivere in questo tempo richiede un atto di coraggio e che bisogna evitare di farsi passivizzare (la televisione può essere un forte passivizzatore) e ricordarci di onorare noi stessi e la nostra vita. Dare dignità alla propria esistenza assumendosene la responsabilità senza delegarla ad altri. Trasformare uno svantaggio in un vantaggio. Racconta una storia: chiusero due bambine in due diversi locali, uno era pieno di giocattoli e l’altro solo di stabbio di cavallo. Il giorno dopo aprirono le stanze per vedere cosa era successo e nella prima trovarono la bambina che piangeva, triste e disperata perché, dopo aver giocato con tutti i giochi, non sapeva più cosa fare. Aprirono la seconda e trovarono l’altra bambina che, con una vanga, spalava freneticamente. Le chiesero cosa stesse facendo e lei rispose gioiosamente: “con tutta questa merda di cavallo ci sarà pure un pony da qualche parte da cavalcare!”. Che la gioia ritorni.